IL PRETORE Ritenuta la non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale sollevata dalla difesa e ritenendo la questione rilevante ai fini della decisione del presente processo, vista la richiesta depositata dal difensore dell'imputato, ai fini della decisione pronuncia la seguente ordinanza: Poiche' questo procedimento era stato precedentemente concluso con sentenza 26 settembre 1995, n. 457, in cui il pretore di Pavia dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputata per il reato di cui all'art. 388, cosi' diversamente qualificato il fatto ascritto alla medesima imputata per mancanza di valida querela, infatti la Raggi Anna Maria era imputata per il reato di cui all'art. 334 per avere quale proprietaria e custode dei beni pignorati in data 17 aprile 1992 sottratto gli stessi all'esecuzione promossa nei suoi confronti dall'Intendenza di finanza di Pavia per il recupero di spese di giustizia; e che a seguito della predetta sentenza del pretore di Pavia il procuratore generale presso la Corte d'appello aveva promosso ricorso in Cassazione poiche' rilevava l'erronea applicazione della legge penale sotto il profilo che la condotta ascritta all'imputata era stata ascritta all'imputata inesattamente ed era stata integrata nello schema di cui all'art. 388, invece che in quello di cui all'art. 334, ipotesi originariamente contestata e perseguibile d'ufficio; che la sentenza della Corte di cassazione in data 22 febbraio 1996, n. 337 della sezione VI annullava la predetta sentenza del pretore di Pavia e quindi rinviava per il nuovo giudizio a questo pretore, accogliendo quindi il gravame proposto dalla procura generale, cosi' motivando, in quanto la sottrazione delle cose sottoposte a pignoramento nell'ambito della procedura per recupero delle spese di giustizia integra unicamente l'ipotesi di reato punita dall'art. 334; Preso atto che, pero', la medesima Corte di cassazione sezione VI ha progressivamente mutato orientamento stabilendo il principio per cui la sottrazione del bene sottoposto a pignoramento che si stanzia all'autorita' amministrativa integra il reato di cui all'art. 388 e non quello di cui all'art. 334, e che questo principio veniva esposto sia nelle sentenze della Cassazione, sempre sezione VI, 4 giugno 1996, che in quelle della medesima sezione, n. 8113 del 12 agosto, ed ancora ribadito con la sentenza n. 7339 del 1997; Rilevato inoltre che, cosi' come l'art. 627, terzo comma, del c.p.p., invece, prescrive l'obbligo per il giudice di rinvio di uniformarsi alle sentenze della Corte di cassazione per cio' che concerne ogni questione di diritto con essa decisa; Rileva questo pretore che nel caso di specie per l'mputata si avrebbe un nuovo processo non solo per un'imputazione per la quale e' gia' stata assolta, seppur per mancanza di querela, in omaggio al principio cosi' come rinnovellato dalla Cassazione VI. Si crea a questo punto, a parere di questo giudice, che condivide quanto eccepito dalla difesa, un mancato coordinamento fra il principio stabilito nell'art. 627, comma terzo, e l'art. 24 di cui alla Costituzione, in quanto non consentendo l'art. 627, terzo comma, c.p.p. al giudice di rinvio di discostarsi dalla decisione della suprema Corte allorquando si siano verificate condizioni che facciano ritenere errato o superato il principio del diritto espresso; e anche alla luce dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo dell'imparzialita' dell'amministrazione della giustizia nonche' del suo buon andamento e dell'economicita' processuale; pone l'art. 627, nello specifico caso, la signora Raggi Anna Maria, imputata, nella condizione di dover riaffrontare un nuovo processo, con ovvio aggravio ed ulteriori spese, laddove si otterra' una sentenza che obbliga il giudice ad uniformarsi ad un principio di legge ormai superato. E costringe la stessa imputata Raggi Anna Maria ad aderire a un nuovo grado di giudizio, in questo caso presso la Corte d'appello perche', invece, le venga riconosciuto il proprio diritto ad essere assolta, cosi' come da giurisprudenza ormai costante della medesima Corte di cassazione. Quindi, la violazione al diritto di difesa si concreta nell'impossibilita' dell'imputata di sostenere gia' oggi, davanti a questo giudice la corretta interpretazione di legge, ed impone ugualmente a questo giudice di non applicare la stessa impostazione, fornita peraltro, come si ribadisce, dalla Cassazione, sezione VI, essendo lo stesso vincolato al principio vetusto cui la Cassazione ha rinviato.